1032: il regno di Borgogna che comprendeva un ampio territorio tra Francia, Italia e Svizzera si frammentò dando vita alle tre regioni della Borgogna, della Provenza e della Savoia, e il conte Umberto I Biancamano, “signore dei valichi”, unì la sua contea nella Moriana, che è la valle formata dal fiume Arc, con la Savoia strategica per i suoi passi alpini. Amedeo I Biancamano, detto Coda, figlio di Umberto I nel 1051 aggregò nuovi territori verso nord-ovest con la contea di Belley, e ad est con Aosta. Oddone figlio di Umberto I e fratello di Amedeo la Coda, aggiunse la Grande Marca d’Italia con capitale Torino grazie al suo matrimonio con Adelaide Manfredi figlia di Olderico Manfredi II che portò in dote non solo la grande Marca d’Italia con capitale Torino, un feudo vastissimo che andava dalle Alpi al mar ligure, ma anche i territori acquisiti dai precedenti matrimoni cioè parte della Svevia e il Monferrato.
Adelaide conosciuta come Adelaide di Torino (Torino, 1016 – Canischio, 19 dicembre 1091), fu Margravia di Torino dal 1034 al 1091, Duchessa consorte di Svevia, dal 1037 al 1038, Marchesa consorte del Monferrato, dal 1042 al 1045, Contessa consorte di Moriana, dal 1046 al 1057 ed infine Contessa reggente di Moriana, dal 1057 al 1091.
Questi titoli corrispondono alle fasi della sua lunghissima vita. Si sposò tre volte, nel 1037 in prime nozze con Ermanno duca di Svevia (1014 – 1038), figlio di Gisella di Svevia e figliastro dell'imperatore Corrado II il Salico, terzo marito di Gisella, da cui ebbe quattro figli, nel 1042 sposò in seconde nozze il marchese del Monferrato, Enrico figlio di Guglielmo III, che morì nel 1045 due anni dopo il matrimonio.
Rimasta vedova per la seconda volta, Adelaide, nel 1046 sposò Oddone Conte di Moriana da cui ebbe cinque figli, che morì dopo dieci anni di matrimonio. Adelaide fu tutrice per i figli ancora bambini Pietro e Amedeo e poi per il nipote, Umberto II.
Anche le due figlie Berta ed Adelaide sposarono personaggi di primissimo piano: Berta (1051-1087) a quattordici anni il re Enrico IV, poi Imperatore del Sacro Romano Impero, a cui era stata promessa in sposa già all'età di tre anni, e Adelaide (1052-1079) Rodolfo di Svevia eletto nel 1077 dai principi tedeschi Re dei romani in opposizione ad Enrico IV.
Adelaide, abile politica, era presente a Canossa dalla cugina Matilde nel 1077, quando suo genero Enrico IV, scomunicato, chiese ed ottenne il perdono del Papa dopo aver atteso tre giorni in ginocchio, sulla neve. Lo stesso Enrico IV a cui Adelaide minacciò di chiudere il valico del Moncenisio al passaggio delle sue truppe, se avesse ripudiato la figlia Berta. Purtroppo il nipote Umberto II, il Rinforzato, (1065 /1103) sopraffatto dai marchesi di Saluzzo e del Monferrato, nemici giurati dei Moriana, perse territori in Piemonte e nella riviera ligure. Invece ebbe miglior fortuna Tommaso I (1178/1189-1233), Signore dei Valichi, e Conte di Moriana che fu nominato vicario imperiale da Federico II e diede inizio alla dinastia cambiando il nome Moriana con Savoia e incrementò il suo territorio incamerando il Vaud, regione a sud-ovest della Svizzera occidentale compresa tra il Giura, le Alpi Bernesi e il Lago di Ginevra. Tommaso I sarà nonno di ben 4 regine, rispettivamente mogli di Luigi IX di Francia, di Riccardo di Cornovaglia, di Carlo d’Angiò, re di Napoli e di Enrico III Plantageneto.
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Abbazia di Altacomba |
Infine Amedeo III (1095/1148) fratello di Tommaso I che legò il suo nome alla abbazia benedettina di Altacomba, sulle rive del lago Bourget, dove fece costruire il Mausoleo di famiglia: qui negli anni saranno sepolti trecento Savoia, fino al millesettecento quando la basilica di Superga a Torino divenne il nuovo mausoleo Savoia. Altacomba dista circa 80 km. da Ginevra a cui oggi è collegata dalla “strada dei Duchi “ cosiddetta per i numerosi castelli edificati dai Savoia. In questa abbazia, come a chiudere un cerchio, sono sepolti il re Umberto II e la regina Maria Josè, nella “Cappella dei principi” nella cripta di fronte alla tomba di Carlo Felice. Umberto II il re d’Italia esiliato non poteva essere sepolto sul suolo italiano per cui lo troviamo qui accanto ai progenitori della sua dinastia. Umberto II si trovava in Portogallo quando venne esiliato e il re replicò così: «La mia partenza dall'Italia doveva essere una lontananza di qualche tempo in attesa che le passioni si placassero. |
Amedeo III |
Poi pensavo di poter tornare per dare anch'io, umilmente e senza avallare turbamenti dell'ordine pubblico, il mio apporto all'opera di pacificazione e di ricostruzione». «Mai si parlò di esilio, da parte di nessuno. Né mai, io almeno, ci avevo pensato».Umberto II non abdicò e non rinunciò mai ai suoi diritti e continuò sempre a considerarsi un sovrano. Re UmbertoII di Savoia, esiliato dopo 34 giorni di regno non poteva mettere mai più piede sul suolo italiano. Ma perché il re si era allontanato dall’Italia così repentinamente? In quei giorni la situazione politica era precipitata e il re aveva preso la decisione di abbandonare temporaneamente l’Italia dove le crescenti proteste dei monarchici facevano pensare al peggio. Si temevano brogli elettorali avvenuti durante le operazioni di voto per il Referendum e per questo si protestava, come a Napoli in via Medina, dove i monarchici si scontrarono: nove manifestanti persero la vita e centocinquanta rimasero feriti. Lo stesso 12 giugno a Roma una manifestazione monarchica era stata dispersa con la forza, nonostante le richieste di re UmbertoII di non spargere altro sangue innocente.
Il 13 giugno alla mattina Il Consiglio dei Ministri stabilì che, a seguito della proclamazione dei risultati provvisori del 10 giugno, si era creato un regime transitorio e le funzioni di capo provvisorio dello Stato passavano ''ope legis'' e con effetto immediato al Presidente del Consiglio dei Ministri, in esecuzione dell'art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, n. 98. Di seguito Epicarmo Corbino, ministro del tesoro nel primo gabinetto guidato da Alcide De Gasperi dal 10 dicembre 1945 al 14 luglio 1946, chiese a De Gasperi se si rendesse conto della responsabilità che si assumeva, dal momento che l'indomani sarebbe potuto apparire come un usurpatore del trono.
I monarchici sostenevano che il governo non diede tempo alla suprema corte di ricontrollare le schede elettorali e portare alla luce eventuali brogli e per questo protestavano.
Lo stesso 13 giugno Umberto reagì diramando un polemico proclama, nel quale parlava di "gesto rivoluzionario" compiuto dal governo.
«Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di re attendere che la Corte di cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta. Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano, e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza».
Re Umberto II, informato dal generale Maurice Stanley Lush che gli angloamericani non lo avrebbero protetto da una eventuale attacco da parte dei fanatici repubblicani, né tantomeno da un eventuale attacco al palazzo del Quirinale decise di lasciare l’Italia per evitare una possibile guerra civile. Umberto era diventato re il 9 maggio 1946, senza una cerimonia di apparato ma con un passaggio di consegne, infatti lo Statuto Albertino prevedeva che alla abdicazione del sovrano seguisse nella successione come re il Principe ereditario. Il 9 maggio 1946 il re Vittorio Emanuele III a Napoli abdicò in favore del figlio Umberto e la sera stessa si imbarcò sull'incrociatore Duca degli Abruzzi e col titolo di conte di Pollenzo in esilio volontario si trasferì in Egitto con la regina Elena .
Il re Vittorio Emanuele III morì in esilio ad Alessandria d'Egitto, il 28 dicembre 1947, tre giorni prima dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana con la quale il 1 di gennaio 1948 lo stato italiano decise la confisca del patrimonio dei Savoia che riguardò solo il ramo maschile, cioè re UmbertoII, mentre i quattro quinti rimasero alle eredi femmine Jolanda, Mafalda, Giovanna, Maria Francesca. Jolanda era sposata a Guido Calvi di Bergolo, Mafalda, morta ad Aushwizt, moglie di Filippo d’Assia Kassel, Giovanna sposa di Boris zar di Bulgaria, Maria Francesca moglie di Luigi Borbone Parma.
Tre anni fa, Il 15 e il 17 dicembre del 2019, nel santuario di Vicoforte in Piemonte furono traslati i corpi del re Vittorio Emanuele III da Alessandria d’Egitto e della regina Elena da Montpellier. Questo è stato possibile proprio perché Vittorio Emanuele III morì tre giorni prima che entrasse in vigore la Costituzione (1° gennaio 1948) e, quindi, da cittadino di pieno diritto, inclusi gli onori dovuti a tutti i militari, ora riposa in terra italiana.
Il re Umberto II prima di imbarcarsi sull’aereo che lo avrebbe portato in Portogallo mise in salvo i gioielli della corona facendoli depositare alla Banca di Italia dal ministro della Real Casa avvocato Falcone Lucifero.
I gioielli della corona conobbero momenti drammatici durante gli ultimi anni della guerra: era la sera del 6 settembre 1943 quando re Vittorio Emanuele III convocò a villa Savoia il direttore capo della Ragioneria del Ministero Di Casa Reale Livio Annesi e il direttore generale del Ministero della Casa Reale conte Vitale Cao di S.Marco perché mettessero al sicuro i gioielli della Corona che erano custoditi nella cassaforte n.3 del Palazzo del Quirinale: era lì che la Regina quando doveva indossarli faceva formale richiesta e alla loro restituzione firmava la ricevuta di avvenuta sostituzione. Gli incaricati decisero di portare il tesoro alla Banca di Italia, avvolsero l’astuccio di pelle in un foglio di carta anonima e lo depositarono nel caveau della banca. Di seguito Livio Annesi e Vitale Cao di S. Marco si recarono al Banco di Roma dove aprirono una cassetta di sicurezza che lasciarono naturalmente vuota, questo per depistare il luogo del reale deposito. Pochi giorni dopo la situazione politica italiana precipitò, a Napoli i tedeschi, gettata a ferro e fuoco la città , razziarono il contenuto delle cassette di sicurezza di Banche ed Istituti di credito devastandoli. Era necessario togliere i gioielli dal deposito della Banca d’Italia al più presto e nasconderli in altro luogo sicuro, e l’operazione era molto rischiosa. Il 23 settembre al mattino si incaricò il Comandante dei Corazzieri Ernesto De Sanctis di recarsi alla Banca di Italia a ritirare i gioielli quando la stessa banca era già controllata dai paracadutisti tedeschi. De Sanctis, accompagnato da un suo ufficiale di ordinanza, entrò con passo sicuro dicendo di essere atteso dal direttore della Banca d'Italia Luigi Einaudi, con abilità gli fu affidato il tesoro che speditamente riportò al Quirinale consegnandolo nuovamente a Livio Annesi e Vitale di S. Marco. A questo punto pensarono di nasconderlo sottoterra usufruendo di un cunicolo scavato nel XVI secolo sotto la "Manica Lunga” che collegava il Quirinale con Palazzo Barberini verso la chiesa di S. Andrea. Con l’aiuto del muratore Fidani scavarono una nicchia nel muro del cunicolo e lo nascosero al suo interno ricoprendolo con grosse pietre trovate lì vicino. Potete immaginare l’emozione quando pochi giorni dopo un ufficiale tedesco accompagnato da due sottufficiali chiese di incontrare Livio Annesi e mostrando un ordine scritto pretese il tesoro della Corona Savoia per il Führer. Livio Annesi rispose rammaricato che il tesoro non c'era più e che il re lasciando la capitale lo aveva portato con sè, ma l'ufficiale tedesco volle ispezionare ugualmente la cassaforte del Quirinale n.3 che naturalmente trovò vuota.
Il 6 giugno 1944 al rientro di Umberto di Savoia come luogotenente del Regno venne riportato alla luce il tesoro e rimesso al suo posto nella cassaforte n.3. al Quirinale.
Il 5 giugno 1946 Umberto II di Savoia, ordinò al Ministro della Real Casa Falcone Lucifero, di consegnare i Gioielli della Corona Savoia nelle mani del Governatore della Banca d'Italia Luigi Einaudi perché li conservasse nel caveau della Banca d'Italia a disposizione di chi di diritto. Il Governatore replicò "questi gioielli erano i suoi, nessuno gli avrebbe chiesto nulla se egli avesse continuato a tenerli". Il 13 giugno dall'aeroporto di Ciampino l'ultimo re di Italia volò verso il Portogallo dove raggiunse la famiglia che lo aveva preceduto.
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Re Umberto II |
I Gioielli della Corona ad oggi, sono custoditi nel caveau della Banca d’Italia dove furono riposti nel 1946, conservati all'interno di un astuccio di pelle a tre vassoi, che misura cm. 39x31x20, con chiusura a chiave, incartato in un foglio di carta catramata e sigillato con 11 sigilli: 5 sigilli del Ministero della Real Casa, 3 della Banca di Italia di Roma, 3 della Banca di Italia -Cassa Centrale - reparto controllo. Il deposito fu periziato dal Sig. Davide Ventrella, presidente della Federazione Nazionale Orafi d'Italia, il verbale riporta una dettagliata descrizione degli oggetti inventariati, dichiarati tutti gioie autentiche e di rilevante valore, ma non li stimò perché non richiesto. Dai verbali sappiamo che erano circa 6.298 diamanti di vario peso e taglio per un totale di 1.702 carati, un eccezionale diamante rosa dono del maresciallo Marmont, 64 perle rotonde e 11 perle a goccia. Il tesoro della corona Savoia nacque la notte del 29 luglio 1900, a Monza, dopo la morte tragica del re Umberto I assassinato per mano dell'anarchico Gaetano Bresci. Quattro giorni più tardi la Regina Margherita, di suo pugno, sotto l'elenco dei gioielli scrisse questo biglietto d’accompagnamento: "I gioielli della Corona sono stati consegnati a sua Maestà Regina Elena, mia nuora, il giorno 2 agosto 1900, in Monza. Margherita". Questi gioielli saranno indossati dalla Regina Elena nelle occasioni ufficiali seguendo il rigido cerimoniale che prevedeva una richiesta formale scritta , un verbale ed emissione di ricevuta di avvenuta restituzione. La regina Maria Josè non ebbe mai modo di indossarli.
Falcone Lucifero nel suo diario scrisse: “Roma, 5 giugno, mercoledì, nel pomeriggio si depositano alla Banca d’Italia le gioie della Corona, che io vedo per la prima volta e che sono davvero meravigliose: valgono più di un miliardo!”
© Imelde Corelli Grappadelli, April 2022
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