Il diadema torna ad essere un accessorio “must to have “. Recentemente lo abbiamo visto indossato tra i capelli di algide modelle, spose, signore eleganti. Evoca la bellezza muliebre e la incorona ma è stato anche simbolo del potere e indossato da re e imperatori realizzato in materiali preziosi per esaltarne ed evocarne la discendenza divina. Oggi desidero presentarvi uno dei più belli ed interessanti diademi del nostro patrimonio archeologico: il diadema degli Ori di Canosa conservato al Museo Archeologico di Taranto (inv. n. 22.437). Mentre si apriva una trincea per la fognatura sulla via Consolare che da Canosa (BA) conduce a Cerignola, il 14 maggio 1928 fu scoperta una tomba del tipo a “camera” che per la magnificenza del corredo aureo in essa contenuto fu denominata “la tomba degli ori di Canosa”.
Come riferisce Renato Bartoccini (la Tomba degli ori di Canosa, Japigia 1935, anno VI, Bari) il corredo era composto da un diadema, una collana, un paio di orecchini, uno scettro, un piccolo anello, una coppia di bottoni, una battrea e molti fili d’oro che appartennero ad una ragazza di 14 anni ,la principessa Opaka Sabaleidas. Storditi dalla ricchezza del tesoro i rinvenitori esaltati trascurarono molti altri reperti di diversi materiali, vetri e argenti fortemente ossidati che tuttavia e fortunatamente furono recuperati in seguito. Il diadema di Opaka detto il Diadema di Canosa è un capolavoro d’oreficeria realizzato nel III sec. a.c.: una fascia d’oro formata da due sezioni a forma di canale degradante e snodato al centro, decorata da un festone continuo di fiori smaltati alternati a nastri, girali di acanto e di vite. Andava appoggiato sul capo e fermato con un nastro sulla nuca. Purtroppo il peso del terreno lo aveva schiacciato e danneggiato quindi fu restaurato dal sig. Narducci sotto il controllo dell’archeologo Renato Bartoccini. Il peso del diadema è di gr.145, il diametro interno misura cm.15 per una circonferenza di cm.47,2. Il peso e la robustezza delle lamine fanno escludere che questo fosse un diadema di uso funerario e rappresenta un interessante reperto che ad oggi non ha paragoni. Il diadema presenta un corpo a canale ricurvo, snodato al centro da una cerniera, per permettere di indossarlo facilmente e di adattarlo all’acconciatura. Il serto fiorito viene sostenuto da una lamina interna al canale che rimane nascosta dall’esuberanza della decorazione floreale. Le estremità del canale d’oro appaiono assottigliate e chiuse da un tampone sempre in oro che è decorato da una elegantissima foglia di acanto e porta saldato al centro un anellino sospensorio nel quale scorreva un nastro per legare il diadema sulla nuca. La struttura che vado a descrivervi è molto complessa quindi utilizzerò i disegni che feci studiando il reperto archeologico quando mi recai al museo di Taranto nel luglio1978 e il soprintendente era il prof. Felice Lo Porto. Il titolo della mia tesi è ”Tecnologia dell’oro nell’antichità” quindi ho studiato il processo tecnico e tecnologico eseguito dall’orafo per realizzare il gioiello: era vietato fotografare i reperti anche se erano oggetto di tesi di laurea, però potevano essere disegnati.
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Il diadema di oro è formato da due lamine profilate ad U degradanti, (fig.1) i sottili bordi della lamina ripiegati sono decorati con un filo profilato di eccezionale fattura sbalzato ad ovuli e fuselli ottenuti a stampo su matrice e poi saldato sulle lamine ripiegate (fig.2). Il decoro è rappresentato da un festone di circa 150 fiori d’oro i cui petali sono smaltati con paste vitree verdi, bianche, rosse, azzurre e granuli d’oro. Questo festone è fissato nel centro del canale con un ingegnoso sistema di legature onde evitare di danneggiare col calore della saldatura i fiori realizzati e già smaltati. Per questo motivo nel centro del canale, che nel punto più largo misura circa 2 cm. è fissata meccanicamente una lamina d’oro di cm.0,4 di larghezza da quattro graffette che si chiudono ripiegandosi a libro. Su questa lamina sono saldati ancoraggi che servono a sostenere gli “alberini”con quattro rametti su cui sono fissati a loro volta i fiori; questi ancoraggi sono realizzati da due corte mezze cannette saldate parallelamente tra loro e bloccano i fiori realizzati e già smaltati senza bisogno di saldature.(fig.3). Le legature agli ancoraggi sono fatte tutte nello stesso modo, il filo saldato alla base dell’alberino si muove con la stessa sequenza d’ingresso ed uscita dai due anelli in concordanza di orientamento. Inoltre il risultato è tale che la legatura sia resistente alla trazione e alla torsione proprio come una saldatura. (fig.4).
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Ogni alberino ha 4 rami alle cui estremità vengono agganciati i fiori già smaltati con una seconda legatura utilizzando un’asola che ogni fiore ha saldata sotto la corolla (fig.5). I fiori sono di quindici tipi differenti e di questi sei sono ricorrenti: 1) fiore a cinque petali in cui l’androceo è costituito da pasta vitrea rossa incastonata in pistilli d’oro, i petali sono rifiniti sui bordi da filo godronato e da un granulo d’oro, alcuni pistilli sono smaltati di bianco e i petali sono decorati sui bordi da filo godronato e smalto blu scuro (fig.7); 3) fiore a quattro petali oblunghi in cui l’androceo è costituito da pistilli smaltati di bianco e i petali a bordo liscio sono ricoperti da pasta vitrea color beige (fig.8); 4) fiore a otto petali lanceolati sovrapposti a due e due ,sono smaltati in verde chiaro e quelli più interni sono in color sabbia e oro e l’androceo è costituito da gocce di smalto bianco (fig.9); 5) fiore a cinque petali leggermente oblunghi smaltati con pasta vitrea color sabbia, tra petalo e petalo sono saldate delle piccole sferette di oro, l’androceo è costituito da piccoli pistilli smaltati di bianco (fig. 10); 6) fiore a forma di girasole composto da petali godronati sui bordi con smalto incolore che crea l’effetto dello smalto guillochè alternati a petali smaltati in color oro più scuro (fig.11).
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Fra due alberini c’è un segmento di nastro a tre colori che si ripete simmetricamente. I nastri sono lastrine suddivise in tre scanalature sbalzate decorate a godroni e smaltate di verde, blu, sabbia e marrone, fra gli alberini ed i nastri è stato intrecciato un filo a sezione triangolare dello spessore millimetrico che si avvolge a volute a formare ricci e viticci. Questo filo risulta fissato solo in alcuni punti per cui col movimento della testa provocava un tintinnio caratteristico nei diademi dell’epoca. Avvincente è la storia di questo diadema e di tutto il tesoro degli ori di Taranto, una collezione composta da 200 pezzi di oreficeria. Nel febbraio 1943 per proteggerlo dal bombardamento aereo il sovrintendente archeologico Ciro Drago dispose di racchiuderli in due cassette di legno e di trasferirli a Parma nel caveau blindato della Banca Commerciale Italiana come aveva consigliato il Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai perché era a prova di bombardamento aereo. L’8 settembre divise l’Italia in due parti e a Taranto si temette per la sorte del tesoro Si interpellò anche il Vaticano per riuscire a tornarne in possesso. Invece non tardò ad arrivare dal Ministero della Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana l’”Ordine di Immediata Consegna” del tesoro. I funzionari della banca aiutati in questo dai vertici della Direzione Centrale a Milano riuscirono ad evitare di consegnarlo alla Repubblica di Salò e finalmente a luglio del 1945 ritornarono a Taranto, dove ancora oggi possiamo ammirarli nelle sale del MARTA, Museo Archeologico di Taranto.
© Imelde Corelli Grappadelli, June 2016
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