GIOIELLO IDEALE

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2016/06/01

ORAFI E ARGENTIERI A BOLOGNA NEI SECOLI XII E XIV

“E’ conveniente che la Compagnia degli Orefici compaia con decoro nelle pubbliche funzioni con il Signifero avanti e con gli uomini muniti ciascuno di una torcia accesa ….. per quanto riguarda le opere di misericordia, nella solennità di Natale e Pasqua il Massaro può dispensare la somma di venti lire di quattrini a luoghi pii; …. in caso di lunga malattia di un orefice due membri del Consiglio saranno deputati ad andare a visitarlo e consolarlo e trovandosi egli in stato di bisogno a soccorrerlo fino alla somma di sette lire e mezzo; e se il suo bisogno fosse maggiore ne riferiranno al Consiglio il quale potra’ deliberare un maggiore aiuto ….. Nell’occasione della morte di un orefice saranno celebrate a suo suffragio a spese della Compagnia dodici messe e gli uomini del Consiglio preceduti dal Signifero e con le torce accese andranno ad onorarne la sepoltura e per tutto il giorno le botteghe rimarranno chiuse in segno di lutto”.  Così si legge nello Statuto licenziato il 28 gennaio 1672  il settimo Statuto approvato dal 1289, anno di fondazione della corporazione delle Arti Orafe ed è lo statuto più completo e complesso nel quale vengono considerati tutti gli aspetti del mestiere sia per quanto riguarda il controllo dell’Arte, le cariche degli Ufficiali predisposti al controllo dell’Arte, i parametri di tolleranza dei titoli di bontà della lega di oro e argento. Le botteghe degli orafi  erano nella Ruga degli Orefici-oggi detta il quadrilatero, una zona compresa da via degli Orefici, via Drapperie, via Pescherie, vicolo Ranocchi, e solo qui potevano stare: nelle botteghe si lavoravano i metalli preziosi, oro e argento e le tecniche di lavorazione  dovevano garantire la bontà del titolo della lega cioè la percentuale di metallo puro minima  che doveva essere contenuta nella lega. Il titolo della lega era stabilito negli Statuti e veniva nominato un Rettore -eletto ogni sei mesi tra gli orafi che componevano il Consiglio- che aveva il compito di controllare che tutto si svolgesse nel rispetto dello Statuto e quindi anche che il titolo della lega d’oro e di argento rispettasse i parametri di tolleranza. Nello statuto del1336  si stabilisce che  il Rettore fosse preposto specificatamente alla disciplina delle lavorazioni dei metalli all’interno delle botteghe; ha un suo consiglio formato da cinque uomini di buona fama scelti da lui tra i migliori, oltre ad un notaio ed un nunzio a sua disposizione. Deve visitare le botteghe, controllare il titolo dei preziosi, può concedere, dopo l’approvazione dell’Arte, le licenze temporanee agli stranieri che vogliono lavorare o commerciare a Bologna per un periodo di tempo definito, il rettore può multare. Alla fine della sua carica il suo operato sarà controllato da due sindaci. Lo statuto del 1299 aveva stabilito che la bontà del titolo dell’argento usato per le oreficerie fosse pari al Bolognino grosso cioè di 883 millesimi, pari a 9 once e 22 denari di argento fino per libbra. Tuttavia il 5 novembre del 1355 a seguito di una denuncia e querela furono processati 22 orafi bolognesi per avere esercitato da oltre 40 anni l’attività in modo fraudolento utilizzando una lega di argento inferiore, cioè 9 once e 12 denari di argento e 2 once e 12 denari di rame, anziché le 9 once e 22 denari d’argento stabiliti dallo Statuto del 1299.
Qui di seguito i nomi di diciannove dei ventidue orafi:
Andrea Ugolini  della Cappella di san Biagio, Giovanni De Anellis della Cappella di Santa Maria del Tempio, Giacomo Bernardi della Cappella di san Senesio, Andrea Bilaqua, Branca maestro Mani della Cappella di san Giovanni in Monte, Pietro di Amedeo di Alberto di Calvo della Cappella di San Mamante, Pietro Canovini di Berto della Cappella di san Domenico, Colao di Gigliola della Cappella di San Martino dell’Avesa, Guglielmo Francesco Diotefe della Cappella di Santa Maria Maggiore, Lenius Bernardini di Bernardino della Cappella dei Santi Simone e Giuda, Fabiano di Mino di Lodovisis della Cappella di san Martino dell’Avesa, Maxignolus di Masini di Masignis della Cappella di S.Vitale, Andrea di Bartolomeo della cappella di s. Michele dei Leprosetti, Ghisilardi Fulcerio di Bartolomeo della Cappella di Santa Maria della Mascarella, Giacomo I Ottoboni di Pietro della cappella di S.Maria al Mercato, Pietro di Giovanni oreficie da San Ruffillo della cappella di S.Damiano, Pietro di Rodoaldo della cappella di S.Michele dei Leprosetti, Pietro di Brunalleli della cappella di santa Cecilia, Maestro Siro di Gerardo della cappella di Santa Cecilia. L’accusa era molto forte ed inquietante tuttavia gli orafi accusati non si preoccuparono eccessivamente perché all’interno della corporazione esisteva già un sistema di controllo molto accurato e severo ed i lavori prima della vendita venivano sottoposti al controllo e alla verifica del Rettore. Così quando furono convocati il 12 novembre a comparire davanti al giudice in tribunale non si presentarono e mandarono solo il Notaio e procuratore della corporazione degli Orafi Francesco di Buvalello di san Giorgio che ricusò dicendo che  il Podestà per l’accusa si rifaceva agli Statuti del 1299 che non recando nessuna nota di registrazione della camera degli Atti non avevano avuto l’approvazione quindi non avevano vigore. Inoltre era uno Statuto fatto da molto tempo e non era uniformato ai nuovi statuti del Comune. Riconobbe tuttavia che in realtà si lavorava un argento alla lega di 9 once e 12 denari “ad Tocham” e di 9 “ad Ignem” per allinearsi al titolo usato dalle vicine città e così fare fronte alla concorrenza degli orefici forestieri. ( ad Tocham e ad Ignem sono due modi differenti per provare il titolo del metallo. ad Tocham è lo sfregamento del metallo della pietra di paragone, detta tocca, e veniva usata per i lavori di piccola dimensione, mentre ad ignem è una operazione più complessa e distruttiva perché una parte di metallo lavorato veniva fuso. questo secondo metodo veniva utilizzato per oggetti di grande dimensioni.
Due furono i motivi che portarono gli orafi ad usare una lega così povera di argento puro: la diminuzione del valore della lega d’argento che nel 1299 costava 25 soldi l’oncia e trenta anni dopo era sceso a 23 soldi, poi la diminuzione del peso dei Bolognini grossi e del conseguente aumento del loro numero da 20 a 22 e mezzo per oncia. Il secondo motivo era la concorrenza degli orafi forestieri che lavoravano l’argento ad un titolo inferiore. Gli orafi infine lavoravano in ragione di due soldi di bolognino, quindi veramente con un margine minimo di guadagno. Muovendo queste obiezioni, chiedono all’Arcivescovo Giovanni da Oleggio di comandare al Vicario e alla Curia del Podestà, dopo avere chiarito la loro posizione e illustrato le loro motivazioni, di non molestarli più perché altrimenti a loro non restava che il vagabondaggio poiché non conoscevano altro mestiere. L’Arcivescovo, Signore di Bologna, Giovanni da Oleggio, ordinò di esaminare la causa sia al Vicario che alla Curia del Podestà. Malgrado la risposta rassicurante dell’Oleggio, era stata recapitata ai ventidue orafi una pesantissima condanna perché contemporaneamente il Giudice dei Malefici aveva proseguito il processo e, scaduto il termine entro il quale gli orefici dovevano presentare la loro difesa, il 3 dicembre pubblicò il bando con cui li condannava a pagare entro otto giorni al tesoriere del Comune di Bologna somme varianti da “20 a 150 lire di Bolognini a testa per un totale di 1432 bolognini. Una cifra ENORME!
Gli orafi reagirono spaventati infatti non si aspettavano questa multa, attendevano fiduciosi la risposta, per loro positiva, della inchiesta affidata al Vicario e alla Curia del Podestà ed erano,anzi, molto fiduciosi poiché il Signore di Bologna aveva accolto la loro domanda. A questo punto il tempo stringe, devono risolvere il problema prima che scada il termine degli otto giorni. Oppure ottenere un decreto di grazia  dal Signore stesso, Giovanni Oleggio:decidono di percorrere questa strada. Proprio in quei giorni Bologna è in festa per la felice conclusione della guerra contro Bernabò Visconti “ el di de sancto Ambrosxo se fe festa e vestisse tutte le compagni e fero gran bali e bagordi” (Villola, Cronache 1356). Gli orafi presentarono il 9 dicembre una seconda istanza all’Oleggio nella quale spiegavano la loro situazione. in buona sostanza c’era stato un equivoco: il Cancelliere Luchino Savio e Guido Lambertini avevano informato gli orafi dell’ordine imposto al Podestà di non procedere oltre contro gli orefici, per questo non sin erano presentati in tribunale: per questo equivoco erano stati multati, inoltre non avevano abbastanza denaro per pagare la multa, a mala pena vivevano col loro lavoro. Così dichiarandosi fedeli e devoti servitori supplicarono l’Oleggio ad avere misericordia e lo informarono di volere prendere parte ai festeggiamenti in corso e condividere la gioia dei cittadini bolognesi per la vittoria su Bernabò Visconti. Questo argomentazione piacque molto all’Oleggio che a sua volta aveva bisogno di trovare nuovi consensi fra i martoriati cittadini bolognesi: Bologna era una città turbata da continue guerre e nella più misera condizione,decise di credere alla buona fede e all’innocenza degli orefici. Il 9 dicembre 1355, quindi nella stessa giornata, Giovanni Oleggio emise un decreto favorevole agli orefici condannati sottolineando che , in occasione delle feste in onore della pace avevano partecipato con grande sfarzo ed esborso di denaro organizzando balli e divertimenti, perciò con ogni suo potere stabiliva e decretava che tutte le pene inflitte fossero rimesse. Il 12 dicembre 1355 il decreto presentato al Giudice dei Malefici fu registrato e la sentenza annullata. Questo processo così insolito e dalla conclusione così repentina e particolare da il fianco alla necessità di redigere un nuovo statuto per regolarizzare il nuovo stato dell’arte.
Il nuovo statuto viene approvato nel mese di febbraio 1356. Era Massaro dell’Arte degli Orefici Sirio di Gerardo Dolimani. Ministeriali Nicolò di Gigliolo, Fabiano di Mino e Domenico di Francesco, rettore Pietro di Salvo. Il nuovo statuto viene sottoposto ad una commissione di Sapienti convocata da Giovanni da Siena, Vicario generale dell’Oleggio ed approvato; il 27 aprile depositato e registrato nella Camera degli Atti del Comune: queste le nuove disposizioni: il titolo dell’argento deve essere pari a 9 once e mezzo di fino per libbra; le saldature devono essere di 9 once e un quarto di fino, e dove ne occorrono molte, di nove once soltanto. I bottoni d’argento debbono essere alla lega di otto once di fino, si tollerano quelli alla bontà di sette once già precedentemente fabbricati. Ogni Maestro deve avere il suo contrassegno inciso su un punzone di ferro e con esso bollare tutti i suoi lavori, poi il Rettore deve poi avere un suo segno con cui bollare tutti i lavori che gli saranno presentati purché rispondenti alla bontà dovuta previo assaggio a fuoco, quindi il lavoro con i due bolli può essere venduto. Le pene previste per i contravventori saranno di due soldi per ogni oncia di argento per la prima multa, espulsione perpetua dall’Arte in caso di più recidive. La decisione di scrivere un nuovo statuto quindi è determinata dalla necessità di bonificare e codificare una consuetudine “illegale” perché fuori dalle norme statuarie. La domanda che si pone lo storico è perché solo ora dopo un così lungo periodo di quaranta anni si decide di intervenire privilegiando e legalizzando una lega diversa per la lavorazione dell’ argento di quella fissata dagli statuti del 1299, ma anche: come è pensabile che nessun organo preposto al controllo avesse scoperto prima dei questo processo come stavano le cose da circa quaranta anni?
Il Sighinolfi ipotizza che questa situazione fosse tollerata per necessità per le condizioni politiche e per il mercato monetario sia a Bologna che nelle città vicine. La situazione politica a Bologna non era assolutamente tranquilla, Bernabò Visconti aveva inviato a Bologna un nuovo podestà milanese il quale congiurò invano contro Giovanni da Oleggio che d’altro canto aumentò il suo feroce controllo sulla città. Gli orafi avevano ottenuto il riconoscimento morale del loro operato con l’annullamento della condanna e poi riconosciuto legale con il nuovo Statuto per cui si dichiararono soddisfatti. Dopo pochi mesi tuttavia in 3 agosto 1356 il Vicario dell’Oleggio Petruccio Marsili da Modena riunisce una commissione per discutere se i nuovi Statuti degli orefici fossero politicamente utili all’Oleggio. Quindi furono convocati il Collegio degli Anziani, i Consoli e dieci Sapienti per quartiere, ma non si risolse il problema, per cui Petruccio Marsili riconvocò una assemblea di orafi in uguale misura favorevoli e contrari, per discutere il problema se fosse più conveniente lavorare alla lega antica del Bolognino Grosso o alla nuova dello Statuto del 1356. Il 22 agosto il Vicario convocò la Commissione dei Quaranta sapienti e degli Anziani, espose la questione del titolo della lega e confermò che la riforma degli Statuti di Febbraio era sembrata dannosa a quasi tutti. Per questo motivo si compilarono due capitoli con cui da una parte si ristabiliva l’antica lega del bolognino grosso e dall’altra si nominavano due sapienti per quartiere che dovevano provvedere a limitare la perdita agli orefici che avevano lavorato con la lega nuova. Il 5 settembre gli Otto Sapienti riaffermano la volontà di ripristinare la lega del Bolognino grosso dello Statuto del 1299 pur permettendo di commerciare per tutto il mese di settembre gli oggetti già lavorati. Per questo motivo viene nominato il 7 settembre un socio del Rettore per assumere le denunzie e provvedere all’assaggio. Il Sighinolfi ipotizza che tutta la questione della lega e del processo agli orafi fosse sollevata e voluta dai Cambiatori che erano in concorrenza con gli orefici. La risposta può ancora una volta essere politica, Oleggio aveva condonato agli orafi che lo avevano sponsorizzato nelle celebrazioni della vittoria e quindi aveva appoggiato un protezionismo contro le importazioni degli argenti. Invece i Cambiatori non sono soddisfatti dal nuovo statuto che li danneggiava e per due anni chiederanno modifiche e il ritorno all’antico statuto. Chiedevano di potere tenere ogni quantità d’argento anche lavorato a qualsiasi lega e vendere e comprare con l’indicazione della lega e del valore per oncia. Questa questione continua fino al 1359 quando viene accettato definitivamente lo statuto del febbraio 1356. Bologna il 1 aprile 1360 passa in mano al cardinale Egidio Albornoz, l’Oleggio schiacciato dalla pressione del governo Pontificio si ritira nelle Marche dove riceve una Signoria, una pensione annua di 12.000 fiorini e la garanzia di altri 80.000 fiorini, il soldo arretrato dei suoi mercenari.
© Imelde Corelli Grappadelli, June 2016
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