"Roma, 15 Aprile 2016” I gioielli della collezione "Castellani",
trafugati da uomini incappucciati con ascia e fumogeni a Pasqua del 2013, sono
stati recuperati. Il furto da quasi 3 milioni di euro era stato ordinato da una
ricca russa. Il ministro Franceschini felice per il ritrovamento: "Grande
giornata, ora i tesori tornano al museo."
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Gli ori di Villa Giulia recuperati dai Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale |
Gli orafi Castellani hanno consegnato una importante pagina alla storia
dell'arte del gioiello italiano famoso nel mondo: possedere un gioiello
Castellani era diventato uno status simbol: grande disponibilità economica, cultura
e amore per i viaggi. Il capostipite della dinastia Fortunato Pio Castellani
(1794/1865) creò gioielli usando le antiche tecniche di lavorazione dell'oro studiate sui reperti archeologici:
nacque così lo stile del "gioiello archeologico", che ebbe fortuna a livello
europeo e diventarono assieme al mosaico minuto romano oggetti da collezionare.
Sono gli anni in cui il fervore per i ritrovamenti archeologici porta alla
nascita di importanti collezioni come la collezione Campana ed alla grandissima
affluenza di turisti inglesi e francesi in Italia per il "Grand Tour"
che acquistavano questi gioielli. Il principe di Teano e duca di Sermoneta Michelangelo Caetani introdusse Fortunato Pio nella società nobile, colta
e internazionale Romana, fu proprio
seguendo il consiglio del
duca Caetani che Fortunato Castellani iniziò a realizzare gioielli archeologici
utilizzando antiche tecniche di lavorazione tramandate dagli orafi/contadini di
Sant'Angelo
in Vado che continuavano
ad adoperare nella realizzazione di gioielli popolari la granulazione, lo
sbalzo a pece nera, la filigrana, successivamente nel 1840 Fortunato fondò a Roma una scuola per tramandare ai
giovani orefici le antiche tecniche di lavorazione. Amico del marchese Gianpietro Campana, cercò di evitare che la sua collezione di oreficeria
venisse smembrata in una vendita all'asta e dispersa nei vari musei europei,
così costituì col figlio Augusto una società per azioni per acquistarla, ma il
tentativo fallì. In seguito fu
incaricato di catalogare i gioielli della collezione Campana, gli stessi che noi oggi possiamo ammirare esposti nelle sale del Louvre. La
vendita all'asta disperse opere di straordinaria bellezza ed importanza che
erano state raccolte da Giovanni Pietro Campana, marchese di Cavelli, una delle
più grandi collezioni di ori e sculture di antichità greca e romana. La
dispersione avvenne per un rovescio finanziario del marchese, Fortunato
Castellani decise allora che «parte degli utili superflui
del suo lavoro fosse dedicata all'acquisto di cimeli antichi, specialmente di
oreficeria, per rimpiazzare nella nostra Roma quelli che il papa nel 1860 aveva
venduto alla Francia». I figli Alessandro (1823-1883) e Augusto (1829/1914)
proseguirono e potenziarono la sua attività e incrementarono la sua collezione
che donarono nel 1919 alla città di Roma con la clausola che i reperti, che
erano più di 1300, fossero esposti accanto ai gioielli realizzati dai
Castellani. E così fu. A Villa Giulia venne predisposta una sala dove furono
esposti gran parte dei gioielli etruschi e Castellani. Proprio dove nel 2013
sono stati rubati su commissione. I due figli portarono avanti il progetto del
padre Fortunato Pio. Alessandro
Castellani era un esperto di reperti e aprì due negozi uno a Parigi e l'altro a
Napoli, poi dal 1860 si occupò del mercato antiquario. Augusto (1829/1914) si
occupò principalmente della produzione dei nuovi gioielli benché anch'egli
fosse esperto antiquario. Nel 1861 acquistò un podere a Cerveteri zona
archeologica ricca di scavi e ritrovamenti di reperti etruschi entrando di
fatto nel ferventissimo mercato antiquario. A Roma arrivavano archeologi
inviati dai loro musei di origine per acquistare reperti archeologici, quindi
si crea un mercato antiquario straordinario dove purtroppo accanto ai veri
reperti vengono venduti anche falsi o veri arricchiti con parti non originali.
Tra questi antiquari uno in particolare si mise in mostra: si chiamava
Francesco Martinetti. Il 23 febbraio 1933 a Roma, a seguito della demolizione
di un edificio in via Alessandrina, fu rinvenuto un tesoretto conservato in un
ripostiglio ricavato nello spessore del muro della casa. Era composto da 17
chili di monete di oro antiche, di epoca imperiale e più recenti, 72 gemme
antiche montate su anelli, sacchetti di topazi, ametiste, cristalli di rocca
non ancora incisi per un valore stimato all'epoca di 1.211.761 lire. In questa
casa aveva abitato fino al 1895 il Martinetti. Chi aveva ereditato la sua casa,
un tempo negozio di antiquariato, aveva trovato numerosi tesoretti nascosti qua
e là in vasi, mobili, o nel braccio di una copia del Discobolo di Mirone da cui
fuoriuscirono monete per 400.000 lire dell'epoca. Francesco Martinetti rigattiere,
antiquario, taciturno e avaro (morì a causa di una polmonite: per non spendere
due soldi per il tram percorse a piedi sei chilometri sotto un diluvio
romano...) era un personaggio molto conosciuto nell' ambiente colto romano. Aveva
legato il suo nome alla Fibula Prenestina.
Infatti a dispetto della sua
avarizia aveva donato questo ornamento al museo di Villa Giulia dove era stata
inventariata nel febbraio 1889 col numero 2819 e stimata lire 5.000. Questa
fibula venne detta "Prenestina" perché il Martinetti sosteneva di
averla acquistata nel 1871 a Palestrina ed era di un tipo quasi identico alla
fibula d'oro ritrovata nella tomba Bernardini nel 1876 sempre a Palestrina. La
fibula è un oggetto a forma di spilla di sicurezza che si usava per fermare la
tunica o il mantello, generalmente era in bronzo raramente in oro ed era
decorata con vaghi o perle di ambra o pasta vitrea .L'archeologo Wolfang Helbig
accolse questa fibula come un eccezionale reperto, soprattutto perché portava
incisa una iscrizione molto interessante. Tuttavia altri archeologi e studiosi come il Pinza e Mark Rosenberg non considerarono
favorevolmente questo reperto dubitando immediatamente della sua autenticità. La
fibula risultava troppo pesante (36,7 grammi) solitamente fibule così pesanti erano
di argento o di bronzo rivestito di una lamina sottile di oro. Inoltre l'epigrafe
risultava capovolta e incisa sul lato esterno della staffa, mentre per
tradizione l'epigrafe veniva incisa sul lato interno. Bisognerà attendere il
1979 e gli studi di Margherita Guarducci per avere la conferma che la fibula
prenestina è un falso. Ma nel frattempo, la fibula prenestina divenne famosa
per l'epigrafe incisa : "Manios med fefaked Numasioi" (Manio mi ha
fatto per Numasio). Manios quindi è il nome dell'orafo che aveva eseguito il
manufatto e Numasio quello del committente. La fibula era tenuta in grande
considerazione in quanto rappresentò a lungo "il più antico monumento
della lingua latina" e per circa 90 anni è stata considerata tale nel
campo degli studi classici, nelle enciclopedie e nei libri di testo delle
scuole secondarie. Margherita Guarducci insigne epigrafista, ha dimostrato però
la falsità di questo reperto pubblicando una memoria negli Atti dell’Accademia
Nazionale dei Lincei: "La cosiddetta fibula prenestina, antiquari eruditi
e falsari nella Roma dell'Ottocento". Dichiara che l'epigrafe è certamente
falsa ma è stata ideata da un esperto, ipotizza addirittura il nome dello
stesso Helbig. Il cavalier Francesco Martinetti invece realizzò materialmente
la fibula, che fu ben eseguita, infatti Martinetti aveva iniziato la sua
carriera come restauratore di anticaglie perfezionandosi nel restauro delle
monete e di bronzi, inoltre era un abile incisore di gemme e si ipotizza che
possedesse frammenti di oreficerie antiche a cui ispirarsi. Su questa questione
anche il gioielliere Augusto Castellani espresse un giudizio: infatti Giovanni
Pinza, paleontologo della Università di Roma, dichiarò che nel 1905 mentre
stava per pubblicare "la Memoria sui Monumenti Primitivi di Roma e del
Lazio" fu sollecitato da costui a non parlare della fibula prenestina in
quanto falsa. Augusto Castellani gli svelò anche il nome dell'orafo che l'aveva
eseguita: "una persona stramba" conosciuta da entrambi. Interessante
e coinvolgente il fatto che dalla frase del Castellani riportata dal Pinza
abbia preso il via la ricerca di Margherita Guarducci. Il Mondo storico
artistico di quel periodo era comunque legato al mondo archeologico che stava
scoprendo tesori interessantissimi: si assiste al trionfo dell'oreficeria di
antiquariato o di imitazione. I Castellani saranno capostipiti e diffusori in
tutta Europa di questa tendenza. Ogni signora veramente alla moda doveva
possedere una parure o un gioiello "archeologico" meglio ancora se un
gioiello Castellani. Questa grandissima richiesta finì con l incidere sulla
qualità del prodotto, e i motivi decorativi usati divennero man mano sempre più
ripetitivi. Con l'arrivo di Art Nouveau si assiste al veloce declino del
gioiello archeologico e del mosaico minuto romano. Può interessare sapere che
la moglie dell'archeologo Helbig era una principessa russa, si chiamava Nadejda
Schakowskoy. Era famosa a Roma perché nelle occasioni mondane amava indossare
una lucertola viva come collier. Nel 1909 i coniugi Helbig acquistarono Villa Lante al Gianicolo che
divenne un salotto culturale scientifico, musicale frequentato da
Carducci, D'Annunzio, Tolstoy, Wagner, Liszt, Grieg. La principessa Helbig era una valentissima pianista e con i suoi concerti finanziava opere di carità. Villa
Lante era stata costruita nel 1518 da Giulio Romano e fu decorata dai
pittori Vincenzo Tamagni da S.Giminiano, Polidoro da Caravaggio. Famoso il suo giardino e il graffito scritto sul muro del salone: "a di 6 di Maggio 1527 fo la presa di Roma".
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La cosiddetta Fibula Prenestina |
© Imelde Corelli Grappadelli, May 2016
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